Lo Sviluppo Emozionale

 

Lo sviluppo emozionale del bambino

 

Lo sviluppo emozionale nei primi mesi è un processo che può essere descritto utilizzando i concetti D.W. Winnicott di dipendenza assoluta, dipendenza relativa e autonomia.

Nella dipendenza assoluta «il bambino piccolo non può esistere da solo ma è fondamentalmente parte di una relazione», infatti, Winnicott parla di «unità bimbo-madre» (Winnicott, 1975, pag. 105).

La crescita del bambino “sano” può avvenire solo grazie inizialmente ad una madre capace di svolgere la sua “funzione materna”.

Infatti, il bambino nei primi tempi di vita è vulnerabile, non è in grado di distinguere gli stimoli interni da quelli esterni, non sa nominare il mondo, non sa pensarlo da solo, non ha di sé alcuna idea, esiste all’inizio solamente negli occhi della madre.

Lo stato mentale che consente alla madre di assolvere in modo ottimale questo ruolo, è definita preoccupazione materna primaria.

Questa particolare condizione mentale ha inizio, durante la gravidanza e si manifesta più intensamente nelle prime settimane dopo il parto.

Consiste in uno stato di chiusura della madre su se stessa, un rendersi vulnerabile quasi quanto il bambino. Spontaneamente la madre diventa ricettiva dei bisogni del neonato e lei stessa vulnerabile non meno del suo piccolo. In questo momento la dipendenza assoluta non è solo del bambino verso la madre, ma anche della madre verso il bambino.

Nei primi periodi di vita, il bambino non possiede un’unità corporea tale da permettere di parlare di sensazioni: se ha fame “lui è la fame”, se ha freddo “lui è il freddo”. La sua attività mentale è dominata da vissuti di dispersione e di frammentazione. Fondamentale allora è la rispondenza della madre che si esplica nella funzione di sostegno (holding), di contenimento.

Le risposte materne ai gesti, alle espressioni spontanee del bambino, gli consentono progressivamente di attribuire un senso al proprio gesto, diventano uno strumento di organizzazione mentale e corporea.

Le sensazioni sperimentate in un primo momento come separate le une dalle altre divengono gradualmente un’unione di sensazioni, cosicché il bambino può sperimentare il passaggio dal non Io all’Io sono.

Questo processo avviene grazie all’holding che facilita l’integrazione nella direzione dell’Io sono, mentre, l’handling (manipolazione), favorisce la personalizzazione. Invece, l’object presenting, consente la presentazione del mondo del bambino.

Gli oggetti tipici e mentali devono essere presentati in modo continuo e graduale, tale da favorire l’illusione che sia il bambino stesso a crearli. L’illusione, rappresenta una sorta di primo abbozzo di pensiero.

L’accondiscendenza materna all’illusione offre all’infante la possibilità di avere i primi contatti con una realtà esterna e di non essere posto precocemente di fronte agli aspetti frustanti della realtà esterna ed interna.

Quando l’onnipotenza “allucinatoria” è acquisita, compito della madre diventa quello di operare una progressiva disillusione diretta a far si che il bambino apprenda che il mondo esterno non è sempre sotto il suo controllo e che i suoi poteri hanno dei limiti.

Questo passaggio è di grande importanza perché segna l’inizio del processo di separazione e d’individuazione.

L’accettazione dell’esistenza di una realtà non controllabile permette anche di acquisire pensieri nuovi che non si trovano solo all’interno del proprio mondo.

Ed è qui che l’autore introduce il concetto di oggetto transizionale”, che consente di rappresentare il passaggio del bambino dall’oggetto soggettivo a quello oggettivo.

Winnicott (1975),  formula questo concetto partendo dalla contrapposizione dell’area della soggettività (realtà interna) e quella della percezione obiettiva (realtà esterna), teorizza l’esistenza di una terza «area intermedia di esperienza alla quale realtà interna ed esistenza esterna contribuiscono contemporaneamente».

Si tratta dell’area che consente di capire come sia possibile «mantenere realtà interna ed esterna separate e tuttavia interrelate» (Winnicott, 1975 pag. 276).

Il bambino investe su determinati oggetti esterni qualità tali da renderli transizionali, cioè che rappresentino un ponte tra soggetto (mondo interno, realtà psichica) e oggetto (mondo esterno, realtà esterna).

È il primo passo verso l’accettazione della separazione fisica da quella che Bowlby (1969) ha definito «la figura di attaccamento primaria».

Tra la fine del secondo anno di vita i bambini sereni, in possesso di un’immagine interiore positiva delle proprie figure, tollerano più facilmente di restare da soli senza avere la sensazione di essere stati abbandonati, riuscendo ad interessarsi alle novità dell’ambiente.

 

 

 

Bibliografia

 

Bowlby J., (2005), Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, Raffaello Cortina Editore, Milano.

Winnicott, D. W. (1975), Oggetti transizionale e fenomeni transizionale. In: Dalla pediatria alla psicoanalisi, Martinelli, Firenze.

Winnicott, D. W. (1975) Lo sviluppo emozionale primario. In: Dalla pediatria alla psicoanalisi, Martinelli, Firenze.

Winnicott, D. W. (1987), I bambini e le loro madri, Raffaello Cortina Editore, Milano.

Winnicott, D. W., (1973), Il bambino e il modo esterno, Giunti – G. Barbera, Firenze.

 

 

Dottoressa Valentina Gentile

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